Pietro Clemente : lettera aperta su Contro Natura

Pubblichiamo una lettera di Pietro Clemente sul nuovo libro di Francesco Remotti Contro natura. Una lettera al Papa.


Cari Amici,

l'uscita del libro  di Francesco Remotti Contro natura. Una lettera al Papa, Laterza, 2008, è un atto importante di presa di parola pubblica dell'antropologia italiana su temi centrali del dibattito etico, politico, intellettuale sui valori. Il libro pone l'antropologia culturale al centro di una riflessione sulla natura e sull'etica. Non è che siano mancate prese di posizione politiche e intellettuali e morali degli antropologi italiani, ma questo libro, anche per la forma con cui si indirizza a Benedetto XVI , vuole uscire dall'ambito dei nostri studi e proporre un terreno più largo di confronto.
Ha dunque tutte le caratteristiche per rompere il 'silenzio assordante della antropologia italiana' nei contesti pubblici. Ovviamente è un libro che dobbiamo leggere, che forse non potremo condividere in tutto, ma che ci dà una base di visibilità pubblica che - sia nei corsi, che in conferenze, che in prese di posizione sui siti - ci aiuta a uscire dall'isolamento o dal silenzio.
Sempre che naturalmente aiutiamo il libro ad essere letto, visto, recensito, discusso, se no saremo noi stessi responsabili del silenzio dell'antropologia anche quando questa si indirizza ai contesti pubblici.
Perciò propongo a chi mi legge, all'ANUAC, a SIMBDEA, a Antropologia museale, alle riviste antropologiche italiane, alle varie sedi universitarie, agli antropologi giovani di aprire una discussione su questo libro, magari cominciando da una mailing list come questa, e proseguendo in incontri pubblici.
Essendo pochi dobbiamo alzare la voce insieme per essere ascoltati.

Pietro Clemente


Visita il sito della casa editrice Laterza  e visita il forum lanciato nel sito dell'IDAST lasciando il tuo commento!


Da Contro Natura, pubblichiamo qui un breve estratto

Copertina del volume Contro Natura

 

 

 

 


Lettera al Papa

Santità,come molti altri cittadini italiani e del mondo, seguo con attenzione le manifestazioni del Suo pensiero – né del resto si può dire che i mezzi di comunicazione siano mai stati avari nel diffondere le Sue idee e far conoscere le Sue opinioni in merito ai molti problemi che caratterizzano il nostro tempo. Di questi tempi, in Italia, è stato aperto un dibattito culturale, politico e parlamentare sulla possibilità di riconoscimento civile delle unioni o delle forme di convivenza che per un qualche aspetto non coincidono con la famiglia normalmente intesa, e Lei è intervenuta, e di continuo interviene, su questo tema con argomenti, principi e concetti, che a mio modo di vedere meritano – prima di essere accettati o rifiutati – una riflessione adeguata e possibilmente approfondita. Mi rendo conto che ben difficilmente le considerazioni contenute in queste pagine giungeranno direttamente fino a Lei. Confido però che alcuni uomini di Chiesa, interessati alla problematica citata, avvertano un qualche interesse per quanto potranno o vorranno leggere in questo scritto, anche se si tratta di idee e di riflessioni contrarie, per la loro maggior parte, a quanto la Chiesa Cattolica Romana va predicando in questo periodo.Il primo tema di riflessione riguarda la mia posizione e i motivi che mi inducono a scriverLe superando un comprensibile ritegno iniziale: è la prima volta (e suppongo anche l’ultima) che mi decido a indirizzare un mio scritto direttamente a un Papa. Mi succede di pensare che anch’io occupo una cattedra, una cattedra universitaria, dalla quale cerco di trasmettere ai miei studenti una serie di concetti e di nozioni, di dati e di problemi, di teorie e di prospettive, che presumo siano loro di qualche utilità e che, di questi tempi, si incrociano però in maniera conflittuale con quanto Lei va diffondendo, insieme ad altri uomini di Chiesa. La materia che insegno si chiama Antropologia culturale, e devo dire che gli studenti seguono tale insegnamento con interesse ed entusiasmo. È forse proprio questo entusiasmo ciò che mi spinge a scriverLe, giacché – ripeto – i contenuti del mio insegnamento rischiano troppe volte, di questi tempi, di porsi in contrasto conl’insegnamento della Chiesa. Non solo, ma il mio turbamento si estende anche al tipo di sapere scientifico nel cui ambito compio le mie ricerche e in cui – sia pure in maniera critica – mi identifico. Ne faccio, insomma, una questione di responsabilità didattica e scientifica.A sentire le Sue parole (come, suppongo, possono fare molti miei studenti), il mio insegnamento dovrebbe risultare non solo sgradito, ma neppure accettabile, e questo perché sarebbe esempio di un’ideologia che, a Suo parere, domina il mondo europeo e in generale occidentale, un’ideologia ai Suoi occhi molto pericolosa e che Lei (insieme ad altri) identifica nel ‘relativismo’. Sono convinto che non solo il mio modestissimo insegnamento, ma soprattutto – ed è ciò che più conta – il tipo di sapere scientifico che cerco di diffondere e a cui mi sforzo di contribuire (ovvero l’antropologia culturale) rappresentino ai Suoi occhi una prospettiva che occorre combattere e possibilmente debellare. Le Sue parole, Santità, vanno a colpire alcune tesi basilari di questo tipo di sapere, alcuni suoi presupposti di fondo; le Sue parole, per chi le voglia prendere in seria considerazione, hanno un effetto profondamente destabilizzante: tolgono credibilità alle prospettive generali che caratterizzano l’antropologia culturale e alle ricerche che in tale ambito vengono condotte. Personalmente, mi sento sconcertato, e proprio per questo mi trovo costretto a riflettere, in modo parallelo, sulle Sue idee e sul mio insegnamento, cercando di porli a confronto. Beninteso, non vi è nulla di disdicevole nel fatto che un certo tipo di sapere venga messo in discussione, ma ciò non basta; penso anche infatti che sarebbe poco opportuno – da parte degli antropologi – fare finta di niente. In fondo, le Sue opinioni, con la vasta influenza che esercitano, rappresentano una grande sfida di ordine epistemologico e culturale: sottrarvisi sarebbe una grave mancanza di responsabilità nei confronti della ricerca e dell’insegnamento in campo antropologico.Non dunque per amore di polemica, ma per senso di responsabilità scientifica, proverò a riflettere pubblicamente sulle Sue posizioni. 

 

 

 

 

Simbdea, società italiana per la museografia e i beni demoetnoantropologici.

c/o Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino
Piazzetta Antonio Pasqualino 5 - 90133 Palermo

CF: 03251180406
e-mail: segreteria@simbdea.it

h5zw4i - 0pzoxg - mjthr6 - ir3699 - q4ggna - s9x48b - gdf2xf - uv8vx4