Maestri senza accademia.
Per Saverio Tutino
Pietro Clemente: Maestri
senza accademia. Per Saverio Tutino
Il Tutino che ho amato è quello
dell’Archivio dei diari, quello di Pieve. Leggendone l’autobiografia ho
ammirato anche il partigiano, il giornalista, lo scrittore della rivoluzione
cubana, sempre pieno di luce nella scrittura ed anche di ironia. Ma il mio
Tutino è quello dei diari.
Ha concepito l’Archivio come un
organismo vivente, dove le storie scritte, ‘depositandosi’ ,non giacciono come
nei sepolcri, ma attivano lettori, memorie, evocano conflitti, fanno capire mondi.
La creazione di un gruppo di
giovanissimi collaboratori motivato e sensibile, legato alle storie dall’amore
per il teatro, ha aiutato dall’inizio nella impresa difficile di formare un
gruppo locale dell’Archivio, di responsabili, appassionati, attivisti, attenti
a rimettere in gioco e in scena la vita dei testi. Opera difficile non priva di
asprezze e di conflitti.
Ha istituito un premio dentro una cultura
anti-premi, ne ha definito lo stile, difeso la natura di incontro e colloquio
sulla vita, contro la tentazione della piazza televisiva. Ha vinto la sfida con
le istituzioni locali, che hanno rispettato questa grande impresa, e talora la
hanno sostenuta. E la sfida per superare gli abitanti della Città dei diari, di
Pieve, è stata quasi una esplosione: 3222 abitanti oggi contro quasi 10.000 diari.
Quando ho cominciato a collaborare con Pieve a metà degli anni Novanta il
sorpasso non era avvenuto e sembrava difficile.
Saverio con fatica e per
tentativi ha cercato di mettere insieme da un lato il rigore degli studi, dall’altro
il calore delle passioni, il mondo dei professori universitari e dei volontari,
e ha creato degli organizzatori di cultura, dei ricercatori. Ha messo insieme
persone diverse è riuscito a creare collaborazione, condivisione perché le vite
di carta potessero vivere al meglio e far ascoltare le loro storie.
Così ora le varie vite, che nella loro forma
di carta, sono raccolte nell’Archivio e si fanno compagnia, e - vicine - si tengono caldo per l’inverno, e che
si preparano alle visite periodiche degli uomini in carne ed ossa, soprattutto
a quelle di settembre, si passano parola
e circola la voce che anche Saverio, il loro antenato fondatore, presto
raggiungerà il loro mondo, quello delle
vite di carta (al quale già ha dato
tante pagine) e in particolare il gruppo delle vite perdute nel tempo, e lo aspettano
per applaudirlo anche loro, come noi ogni anno.
Da tempo Saverio era entrato in
una smemoratezza leggera, che non escludeva una certa felicità, amava, mi è
parso, essere abbracciato, applaudito da
tanti di noi che non riconosceva ma che sentiva come una buona e lieta
compagnia umana.
Sapevamo di doverci accomiatare da lui,
eravamo pronti.
Personalmente lo avevo scelto tra
i miei Maestri senza accademia, maestri della grande arte della memoria, del
dare la voce alla vita. Ettore Guatelli con gli oggetti e il museo, Nuto Revelli con le voci nel registratore e nella
pagina, Saverio Tutino con i diari, gli epistolari , le memorie. Tutti e tre li
porto negli studi e nei ricordi e li ringrazio di avermi dato
modo di imparare da loro.
Il popolo dei musei
antropologici, di SIMBDEA (Società Italiana per la Museografia e i Beni
Demo-Etno-Antropologici) che io rappresento ha sempre visto il popolo dell’Archivio
come parte di una famiglia comune, e spesso insieme con molti da varie parti
d’Italia siamo giunti a Pieve in pellegrinaggio, sulla vetta della collina
delle storie, rasa al suolo dai tedeschi e rinata piena di memorie.
Salutaci Guevara lassù caro Saverio,
occhio di barracuda, se lo incontri, e
tanti altri che non dimentichiamo, noi ti ricorderemo con una frase di Ernesto
De Martino ( fondatore degli studi antropologici italiani), per quel che sei
stato e ci insegni ancora ad essere : un “cercatore di uomini e di umane
dimenticate istorie, che al tempo stesso spia e controlla la sua propria
umanità, e che vuol rendersi partecipe, insieme agli uomini incontrati, della
fondazione di un mondo migliore, in cui migliori saremmo stati tutti, io che
cercavo, loro che ritrovavo” . Grazie.