Pietro Clemente
Il ponte di Marcellinara
è crollato. Apocalissi vicine
da A.M., n. 28/29, 2011
La mia memoria è invasa dal nome che vedo nella didascalia di una foto su un quotidiano del 13 novembre2011, una striscia di binari della ferrovia sospesa per aria, sul vuoto lasciato dal ponte che è crollato per la piena del fiume, un treno in equilibrio, quasi in punto di caduta nel baratro, il paesaggio stravolto dal nubifragio, un paesaggio da Apocalisse. Il nome che leggo è quello di Marcellinara. Il paese della provincia di Catanzaro che de Martino legò a una figura ermeneutica della distanza e dello spazio domesticato, dominato dal campanile come asse del mondo vissuto, punto di riferimento della vita. Il campanile di Marcellinara è sempre nella mia memoria il luogo del ritorno, della terrestrità delle nostre vite. Ed ora è come se il luogo del ritorno, il luogo dei paesi di cui Vito teti ci ha raccontato franasse nella nostra memoria. Come se ne La fine del mondo Ernesto De martino avesse collocato il caso del campanile di Marcellinara e del contadino che entrava in panico quando se ne allontanava, tra gli episodi delle apocalissi culturali e non tra quelli delle patrie culturali.
Il tempo della crisi, quella prodotta dall’1% contro il 99% della gente, sta cercando di far franare le nostre anche le nostre ultime estreme patrie culturali.
In questi giorni circolano notizie sulla chiusura di musei, sul crollo di siti archeologici, i partigiani dell’ANPI hanno segnalato che lo Stato non ha trasferito i fondi per l’apertura del museo di Sant’Anna di Stazzema, luogo di una terribile strage nazista, museo degli orrori dimenticati della guerra, nella crisi anche questa patria della memoria è sospesa sopra un ponte crollato. Mentre i più ricchi arricchiscono e il prezzo della benzina sale.
I graffiti dell’Addaura a Palermo nel sottosuolo in una grotta scoperta durante la guerra, aperta e poi chiusa intorno al 2004, sono stati trovati coperti di scritte fatte con spray, unica traccia di vita nel silenzio istituzionale lungo sette anni che è sceso su quelle rarissime incisioni risalenti a circa 12 mila anni fa.
Arriva notizia che il Direttore del Museo della Mezzadria senese di Buonconvento, uno dei nostri musei etnografici di maggiore efficacia e successo, viene sospeso. La lettera dice:
“Con la presente si comunica ai destinatari in indirizzo che gli incarichi di direzione museale non verranno prorogati …si considerano quindi risolti al 31.10.2011”, non c’è nessuna spiegazione, i destinatari sono i direttori di 7 musei. Noi credevamo che Marchionne giocasse al globale, ma ce li avevamo in casa i nostri Marchionne: sono ne L’ambito ottimale Crete Senesi che non so cosa sia ma rappresenta i cinque comuni del Circondario delle Crete. Non se ne parla di questo Ambito nella straordinarie poesie di Mario Luzi, alle quali preferiamo connettere la visione delle Crete senesi. Forse è la politica della sinistra senese che licenzia e risolve? Tutti i sindaci sono del PD. Quindi Marchionne è nostro vicino di casa. Forse de Martino lo prevedeva, l’apocalisse è proprio vicina. Si levano come corvi sulla crisi figure improbabili di professioni di successo che risolveranno tutto quanto e che vengono premiati per le ‘politiche della gestione’ .
Prepariamoci ad affrontare una lunga notte.
Una giovane SIMBDEA
Abbiamo bisogno di una giovane e coraggiosa SIMBDEA per affrontare la notte. SIMBDEA è una piccola organizzazione, la sua forza sta nella presenza radicata in alcuni nodi del territorio, nell’ambito di piccole comunità, dai quali dialoga con le Università, con i grandi musei, con la ricerca. Dalle quali esprime la voce della sua rivista Antropologia Museale una voce sempre riflessiva e critica. Mi ha sorpreso nella recente VII Conferenza Nazionale dei musei promossa da ICOM , sentire Roberto Cecchi, Segretario Generale del MiBAC, criticare la politica del Ministero come se lui non ne facesse parte. Un esercizio di sana, anche condividibile retorica, senza nessi evidenti con le responsabilità di ciascuno, quel che fai domani. Noi non siamo così, siamo situati, ci collochiamo nel nesso che il patrimonio costruisce tra idee della ricerca, politiche culturale, movimenti intellettuali e rete dei piccoli musei, e medi musei, che vedono nel radicamento territoriale il loro presidio. Da qui abbiamo cercato quest’anno di lanciare a Nuoro, a Giugno, nel festival ETNU, promosso dall’Istituto Superiore Regionale Etnografico (ISRE) e da Simbdea, una rete multi territoriale di incontro tra i vari mondi dell’arte della poesia improvvisata: America, Africa, Asia minore, Europa, seguendo una chance che l’Unesco oggi permette, quella di attivare valorizzazioni dal basso, reti di studiosi e poeti che non aspettano che lo Stato gestisca e suo modo il patrimonio culturale facendo diplomazia e non promozione della vita delle differenze.
L’Unesco ci ha regalato anche la Palestina come nuovo paese membro, e l’USA che taglia i soldi, con Obama che somiglia a Lyndon B. Johnson di quando avevo 23 anni e facevo i sit in per il Vietnam e per ‘buttare a mare le basi americane’. Che difficile mondo per Obama, e per noi che ci abbiamo sperato.
A San Palo Albanese, a settembre, un piccolo paese del potentino, pieno di coraggio e con un museo e un parco naturale che affrontano la sfida del futuro, abbiamo provato a vedere i giovani protagonisti, la nuova Simbdea. L’ambiente era quello giusto: una comunità che lotta per non scomparire, che ha una logica diversa da quelle dell’Europa dell’asfalto e della banche. Che avrebbe potuto già essere franata a valle moralmente e invece difende la sua lingua albanese, il costume, la terra degli antenati e in questo modo ci autorizza a sperare in un futuro meno tragico. I giovani c’erano e con forza a San Paolo, ci sono. Per loro dobbiamo lottare perché SIMBDEA abbia risorse per vivere, e non demorda nella difesa dei musei come presidio del futuro. SIMBDEA oggi è un traffico di idee che passa molto per il Direttivo e i vari museografi e direttori operativi sulla scena nazionale, passa per il sito www.simbdea.it e le sue esperienze, anche di twitter, di piccola TV dei nostri eventi. E’ la finestra del dibattito internazionale dei musei etnografici, che è il più interessante al mondo, perché al cuore ha i problemi, i conflitti, le Museum Frictions , e non la grandeur, né tanto meno le ingegnerie gestionali. E’ infosimbdea, un servizio di rete informativa per i musei, ed è l’estensione ai musei del campo del Patrimonio culturale immateriale e dell’UNESCO; dei temi della documentazione orale e visiva on line, è esperienza di gestione giovane sui musei di confine, che sono quelli delle piccole amministrazioni locali, o quella delle province leghiste, ma anche dei grandi musei nazionali che si danno nuove missioni critiche anticoloniali postcoloniali. Simbdea è la promotrice delle Scuole di Specializzazione in beni Demoetnoantropologici, e crede nel profilo del ‘demoetnoantropologo’ che dovrà essere chiamato per concorso nelle Soprintendenze. Crede nel ruolo dello stato, del pubblico, delle regioni per ciò che concerne il patrimonio, e crede anche nel decentramento, nella professionalità come opera umana che dal museo dialoga con la gente e cerca di capire con la gente il mondo che si trasforma e l’idea di museo che si modifica. E’ la sua audace rivista Antropologia museale con il suo audace editore di Imola, luogo natale di Andrea Costa. E’ una associazione, una rivista, che si occupa di memoria, che favorisce care memorie, che scrive di Lévi Strauss e di Cirese, e resta fatta di antropologi, quando spesso dagli altri settori museali ci vorrebbero ridurre a solo museografi. E’ Simbdea con il suo movimento intellettuale che tiene vivo nell’Università e nella ricerca extrauniversitaria e dei musei il campo scientifico della antropologia museale e dell’antropologia del patrimonio: un campo che ha dibattiti, bibliografie, nessi internazionali, se lo venga a leggere chi pensa che il museografo debba essere solo un uomo della gestione. Di recente un testo di Hugues De Varine Musei locali del futuro, messo sul sito, ha suscitato un incendio di discussioni e riflessioni, Siamo proprio vivi. Dal 2012 mostreremo che rinnovarsi è possibile. Così sia.
I bu
Andé a di acsè mi bu ch’i vaga véa
Che quèl chi à fat i à fatt,
che adèss u s’èra préima se tratour.
E’ pianz e’cor ma tott, ènca mu me ,
avdai ch’i à lavurè dal mièri d’ann
e adèss i à d’andè véa a testa basa
dri ma la corda lònga de’ mazèll[1]
Nel nostro terzo convegno dell’anno, a Santarcangelo di Romagna, nel novembre di San Martino, che ricorda Carducci e la storia d’Italia, e che per Polenta, lì vicino (comune di Bertinoro), scrisse i versi per noi fondativi “L’itala gente da le molte vite” , abbiamo riscoperto la forza delle radici dei musei locali. Il Museo etnografico di Santarcangelo come campanile d Marcellinara ancora saldo, patria culturale per SIMBDEA, presidio che parla con tutti, associazioni dei contadini, dei giovani, dei cineasti, dei naturalisti, dei biologi, dei gourmet, degli ambientalisti, e noi nel mezzo. Noi con i buoi di Tonino guerra che qui campeggia in ogni dove, a riflettere se gli antichi bovi saranno risarciti, almeno nella memoria della nuove agricolture. Qui ci siamo ritrovati come nella generazione degli anni 70 a parlare di contadini ma futuri, con il nostro decano ad agronomo Gaetano Forni, e tanti giovani che fanno etnografie del mondo contadino attuale.
Il nostro incontro plurale di Santarcangelo, pieno di compleanni, i 150 dell’Unità cantati da Sandra e Mimmo Boninelli, i 40 del Museo, i 10 di SIMBDEA e il trentennale di Mario Turci direttore del MET , è stato una specie di ‘fiera’ delle forme di meeting (incontri, workshop, convegno, laboratori, spettacoli, recitava il sottotitolo ma spesso si è parlato anche di tavoli ) , e ha funzionato proprio bene. E’ finito con una rissa istruttiva tra contadini studiosi e contadini-contadini che mi ha ricordato molto la guerra tra poeti improvvisatori e professori di Grosseto 1997. Per me le heritage frictions fanno parte dell’antropologia, e quindi anche le ‘peasant frictions’ sono pezzi di etnografia nel vivo. I contadini della Coldiretti, i contadini della Confederazione Agricoltori Italiani hanno dissentito nelle parole e nei toni da urbanisti, sociologi, antropologi, architetti pasoliniani, ecoaltermondialisti, che rilanciavano una idea di contadinanza antica e moderna per salvare il pianeta. Che rifiutavano la nozione di agricoltore e di imprenditore agricolo, mentre quelli delle associazioni hanno appena imparato ad usarle e non vogliono salvare il mondo ma il loro reddito di fine mese. Il rappresentante della Confagricoltura ha proprio litigato con gli studiosi che a loro volta gli hanno dato dell’ignaro distruttore della terra. Ma io credo che hanno discusso in casa, perché già aver portato la discussione su questo terreno è averla sottratta ai temi delle città e dell’industria e alle idee correnti di sviluppo. Litigare è l’inizio del dialogo. I musei sono il giusto luogo per farlo sviluppare. Quando si fanno delle etnografie sulle attività contadine di oggi, si può vederne le ideologie, la validità o retorica della memoria, discutere su cosa è meglio, ma non ci si arrocca in una dialettica sbagliata tra documentazione del passato e teorie sul futuro. Si parte dal nesso che il presente costruisce con il futuro intorno a saperi passati come epoca ma presenti come know how che il nostro lavoro minuto, il nostro gusto dei dettagli, rivela preziosi per il futuro, ponti perché delle differenze culturali non tacciano per sempre.
Ho avuto la sensazione che questi temi siano centrali nella nostra storia di museali italianisti (che non è la storia di tutti ovviamente in Simbdea) nati dai musei contadini volti al passato , e che ci possa aiutare a far rivivere i musei contadini di oggi in grandi progetti futuri, aperti alle tecnologie, ai depositi informatici, alle mappe minute (cognitive e con l’uso dei GPS) in un progetto di società. Come presidi conoscitivi e postazioni di lancio verso gli altri contemporanei (altre associazioni, altri soggetti come i migranti, altri sponsor come le aziende che producono qualitativamente,) e verso gli altri futuri (nipoti, scuole, immaginazioni di civiltà interpretazioni degli scenari mondiali etc…). Dobbiamo fare uno sforzo per elaborare meglio questi temi come nodi del futuro.
Nello scenario di una giovane SIMBDEA c’è un futuro contadino
[1] Andate a dire, così, ai buoi che vadano via,/ che quello che hanno fatto hanno fatto,/ che adesso si ara prima con il trattore.// Piange il cuore a tutti, anche a me,/ vedere che hanno lavorato delle migliaia di anni, e adesso devono andare via a testa bassa/ dietro alla corda lunga del macello.( Da Tonino Guerra, I bu, 1972)