pdf 14th Annual Meeting SEE Network of Experts on ICH Concept Note (462 KB)
Contribution by Valentina Lapiccirella Zingari, Simbdea
3. Are you aware of any ICH practices and communities in your country that adapted in creative ways in response to the pandemic? Please, describe.
During the Covid-19 period in Italy civil society expressed a number of creative and adaptive solutions, in response to the lack of social life and possibility to perform, live and practice their ICH.
At the community level, I am reporting here one experience, shared on the Unesco ICH web site, from the community network of “Tocati, a Shared Programme for the Safeguarding of Traditional Games and Sports”. Tocatì participated in the Unesco ICH survey, during the pandemic, narrating some community experiences made in dialogue with the Verona Municipality initiative “Io gioco a casa”, “I play at home”.
https://ich.unesco.org/en/living-heritage-experience-and-covid-19-pandemic-01124?id=00058
Communities of practitioners and bearers of Traditional games representative of Italian Ludodiversity, collaborates to share a short description of their game, usually practiced in open air and public spaces of urban and rural contexts, as square, streets or fields, in a “home-version”, to perform at home, during the confinement period. An interesting initiative showing a multi-level approach to heritage safeguarding, connecting local “traditional ludic communities” with the network of Tocatì, supported by a municipality, sharing it in the context and framework of an international UNESCO survey.
This initiative is a creative way combining two important dimensions of ICH: the importance of cultural practices (their necessity) in everyday life and the capacity of communities to adapt to different circumstances (resilience), and the need to feel/stay connected in a living network of communities and Institutions. Two dimensions showing the power of ICH as a resource for resilience, solidarity and well-being.
The initiative I Giochi a casa di Tocatì
https://tocati.it/giochi-casa-tappi-percorso/
https://tocati.it/giochi-casa-lancio/
https://tocati.it/giochi-casa-tocati-giochi-uova/
https://tocati.it/giochi-casa-tocati-gioco-noci/
4. Based on your experience and opinion, what will be the impact of the pandemic on the ICH in your country beyond the emergency phase? What are the priorities to support the reactivation of ICH and its long-term safeguarding after the pandemic?
In the context of the anthropological and cultural heritage sector, a very wide range of initiatives can be interpreted as clues of new priorities to support ICH in a long-term safeguarding perspective. The ICH accredited NGO Simbdea, developing a strong dialogue with Cultural Institutions, in particular the Ministry of Cultural Heritage and Tourism (Ministero dei Beni, delle Attività Culturali e del Turismo-Mibact), took two different initiatives. The first one, is a letter signed by our President, Professor Alessandra Broccolini, and addressed to the Central Institute for Intangible Heritage (ICPI-Mibact), in the framework of the Ministerial initiative “la cultura non si ferma”, “culture do not stop”. An interesting Ministerial initiative opening new important reflexions on ICH.
In this letter, “From the side of communities: Who will take care of Intangible Cultural Heritage?”, in reference with the UNESCO Covid19 survey, A. Broccolini raised some essential points:
- A critical consideration on the composition of the Italian task force the “Dream Team”, in charge to indicate the post-virus perspectives, composed by experts with exclusion of the Humanities.
- A critical reflection on normative and bureaucratic changes/evolutions, producing a negative context for ICH expressions and performances.
- The surprising effects of cultural creativity, also using social media as tool of resilience and social (virtual) life.
- The irreplaceable importance of “real-life” relationships and the need to care and strengthen the positive values of physical and emotional relationships, in this period of health emergency and after it.
ICPI - @laculturanonsiferma - Visti dalla finestra
Alessandra Broccolini (Sapienza/SIMBDEA)
Fase 2. Dalla parte delle comunità. Chi si prenderà cura del patrimonio culturale immateriale ? Riflessioni a margine, al di là dei sogni.
E' notizia di qualche giorno fa. E per definire quello che il governo sta pianificando per la Fase 2 di uscita dall'emergenza sono stati scomodati i sogni. Dream Team, così è stata chiamata la "task force" (sempre la lingua inglese per le grandi occasioni), la squadra di mega-esperti che Vittorio Colao sta già guidando per indicare al governo le migliori strade per tornare alla normalità. Già, la normalità, quella che per alcuni già "prima" era un problema. 17 componenti, tutti esperti nel loro settore. Ma chi sono questi esperti ? Nella lista abbiamo diversi economisti e top manager, che occupano un terzo del gruppo, un fisico, uno specialista di lavoro, un avvocato, un commercialista, un esperto di disabilità, un sociologo (economico), una psicologa e uno psichiatra. Pochissime le donne (vabbè, si dirà, non sottilizziamo). Molti componenti di questa squadra -la maggioranza- sono rappresentanti dei settori "forti" della società, di quelli che contano. Tutte persone con grandi curriculum alle spalle, che certamente faranno bene per il bene di tutti.
Non è ovviamente questa la sede per entrare nel merito di questioni che vanno oltre delle semplici riflessioni domenicali.
Ciò che tuttavia, più sorprende è la totale assenza dai "sogni" delle cosiddette humanities, che sono forse proprio quelle discipline più attente ai sogni della gente, che più guardano alla "condizione" umana vista nella sua globalità. Perché al di là degli aspetti materiali, che sono sacrosanti, è evidente che questa pandemia sta intaccando pesantemente proprio quella qualità della vita, quei sogni, quelle aspettative di futuro già parecchio in difficoltà e in bilico prima, ma che ora con le restrizioni alla libertà personale, la paura, lo stress, il distanziamento sociale, la caccia alle streghe, la criminalizzazione del nulla, rischiano di naufragare. Certo, si dirà che quando c'è la salute c'è tutto; oppure che quando le tasche sono piene (un proverbio popolare dice che "quello che non strozza ingrassa") tout va bien se passer. E che è quindi qui che si deve più agire. Poi c'è la resilienza, ci sono gli effetti sorprendenti della solidarietà, ci sono quelle risorse sociali nascoste che riaffiorano, le creatività "culturali", la capacità di resistere.
Sarebbe troppo facile in questa sede lamentare la totale assenza dell'antropologia da questi sogni da "task force"; l'antropologia, che come dice la stessa etimologia, alla condizione umana guarda da sempre con attenzione, che le relazioni umane le studia nelle loro diversità storicamente fondate, tra singolarità e comunità, tra agire pratico e memoria, creatività e identità. D'accordo, non è questo il luogo. Tuttavia, per la vocazione che abbiamo, in verità sempre poco riconosciuta dai più, è nostro dovere fare sentire la nostra voce iniziando proprio con una piccola riflessione che parte da qualcosa che proprio ai "più" potrà sembrare sconosciuto, se non poco rilevante, ma che invece riguarda molto da vicino proprio quel sognare che tanto sta a cuore in questo momento al governo, parliamo del cosiddetto patrimonio culturale immateriale.
Qual è quindi il nesso di tutto ciò con il titolo che ho voluto dare a questa riflessione ? Con il patrimonio culturale immateriale ?
Qualche giorno fa l'UNESCO, l'Organizzazione delle Nazioni Unite nata più di 70 anni fa per promuovere pace e dialogo tra le nazioni attraverso la cultura, ha pubblicato un comunicato stampa nel quale pone -a dire il vero un po' troppo sinteticamente- la questione degli effetti della crisi su piani diversi da quelli riportati giornalmente nei media, sottolineando che "we are also seeing the ways in which the impact of this crisis goes beyond our physical health"*. Non sono le singole humanities a dirlo per rivendicare chissà quale posto al sole, è un organismo globale come l'UNESCO.
Entrando nel merito il comunicato prosegue ancora sottolineando come "Festivals and cultural events are being cancelled or postponed, and cultural practices and rituals are being restricted, causing disruptions in the lives of many people". "Disruption", che significa "spaccatura". Quindi la cancellazione di pratiche festive, rituali, collettive, espressive, può essere fonte di una "distruzione", di rottura negli equilibri vitali della gente e delle collettività. Quindi forse le humanities non sono così inutili. "At the same time - prosegue il comunicato- we are seeing how living heritage can be a source of resilience in such difficult circumstances, as people continue to draw inspiration, joy and solidarity from practising their living heritage".
La pandemia, come sappiamo, ha reso necessarie misure di distanziamento sociale che sono misure di distanziamento esclusivamente fisiche. Per la strada di deve camminare disaggregati, tutti, anche mogli e mariti, padri e figli (che in casa mangiano e dormono vicini); il metro e mezzo di distanza è diventata una nostra ossessione; tutte le forme di vita sociale fondate in uno spazio fisico sono rimandate a data da destinarsi, anche una semplice passeggiata in solitaria (?). Che sia giusto o meno, ciò vuol dire che anche e soprattutto gli eventi collettivi, quelle occasioni speciali, rituali, calendariali nelle quali le persone si calano "dentro" la vita sociale "fisicamente" (e non solo tramite i social che semmai ne rappresentano una estensione non un sostituto), quegli eventi in cui si partecipa con il corpo, tutto questo è sospeso per ragioni di salute pubblica. Eventi che sono spesso quelle forme di espressioni collettive che collochiamo nella sfera del patrimonio culturale immateriale, esperienze collettive, religiose e non religiose, che esprimono valori, vicinanza, senso di appartenenza, creatività, memoria, affettività, partecipazione, come anche interessi di vario tipo e conflitti. La stessa UNESCO con l'adozione della Convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale del 2003 aveva inteso veicolare in questa definizione una concezione diversa dell'heritage, intesa non più come prodotto di un'elite, nelle sue espressioni materiali e monumentali, ma come parte della vita sociale e culturale delle comunità umane, paesi, villaggi, piccoli gruppi, in tutte le forme ed espressioni, anche quelle più marginali. Nel paradigma patrimoniale è stato usato il termine "living heritage" e di certo non è questo il luogo per entrare in dibattiti e definizioni "di scuola". Ma sta di fatto che ciò che il patrimonio immateriale definisce è ciò che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui, definiscono come parte importante delle loro pratiche di vita, ciò a cui le comunità danno valore e che danno senso all'esistenza.
Già prima dell'emergenza sanitaria molte dimensioni collettive del vivere sociale e culturale erano state sottoposte a vincoli e restrizioni di vario genere, via via sempre più pressanti. Prima era stato il fuoco nelle feste a fare paura, che ha portato a regolamentarne l'uso (vedi la regolamentazione dei fantocci e dei falò rituali, alcuni dei quali sono scomparsi dalle pratiche anche per questo motivo). Poi era stato l'imprevedibile comportamento della folla e i suoi rischi, o il rischio incidenti di vario tipo (allora sono state introdotte transenne e sono state aumentate le distanze) e si è compiuta la trasformazione dei rituali in spettacoli disciplinati. Ora è la volta della dimensione sanitaria. Questo ingresso della dimensione "sanitaria" nelle pratiche sociali e culturali ci riguarda molto da vicino e su questo si dovrà riflettere. Certo, si dirà che è l'emergenza ad aver provocato la cancellazione di tutte le feste ed i rituali dal mese di marzo a chissà quando ed è giusto così. Ma in che modo la sicurezza sanitaria, divenuta oggi un imperativo globale, si rifletterà nelle pratiche del futuro ? Quanto e in che profondità le mascherine e il metro e oltre di distanza entreranno strutturalmente anche in questi ambiti della "prossimità" e della condivisione rituale e quali pratiche di "resistenza" verranno messe in atto ? Ce li vedete i "passanti" della Madonna del Monte, festa sulle rive del lago di Bolsena nel Lazio, cantare "Evviva Maria" tutti insieme con le mascherine ? Di esempi come questi se ne possono fare a migliaia. In diverse città e paesi già pochi giorni fa accendere i falò per S. Giuseppe è stato dichiarato un atto "da delinquenti"[1]. Ma il fuoco una volta non era purificatore ? Ciò che dico è chiaramente una provocazione, ma vuole esprimere un problema di fondo molto serio, soprattutto un disagio e uno scenario di cambiamento.
L'Unesco parla nel comunicato di "resilienza", resilienza come una capacità del patrimonio immateriale a continuare a vivere continuando a far vivere le comunità, anche nel dramma della pandemia. E indirettamente accenna ad un fenomeno assolutamente nuovo che stiamo vivendo e che abbiamo ad esempio vissuto pochissimi giorni fa, quando abbiamo visto i riti della Settimana Santa, in tutto il mondo cristiano trasformarsi in riti social: processioni in solitaria delle sfere ecclesiastiche e "partecipazione" virtuale di cittadini che hanno partecipato in solitudine, senza conoscersi e vedersi; trasformazioni di "living rituals" in riti della memoria "a distanza", tramite condivisione di immagini. Riti della solitudine social, si potrebbe dire, un ossimoro al quale eravamo già abituati dopo anni di esperienze a distanza, ma che ora va intaccando anche la partecipazione ad uno dei pochissimi ambiti della vita sociale non mercificati che si era conservato nello spazio pubblico, nel quale il coinvolgimento dei sensi, l'esperienza del "corpo" nel rituale (il sudare, il guardarsi negli occhi, il ballare, il cantare, il camminare insieme) erano centrali. Sicuramente si tratta di un fenomeno nuovo e per noi interessante, già anticipato da molti anni di feste in diretta streaming e di partecipazione a distanza grazie alle nuove tecnologie. Ma in che misura -mi domando- al di là della disruption attuale che stanno vivendo molte comunità e alla quale queste stanno rispondendo con resilienza e speranza- in che misura tutto questo non lascerà delle tracce profonde nelle forme della partecipazione sociale e comunitaria, che costituiva la "carne e il sangue" del patrimonio immateriale? Conosco alcuni paesi e città dove si sta vivendo come un vero e proprio "dramma sociale" il rischio di vedere cancellata la "loro" festa. Ma soprattutto, al di là dell'emergenza, siamo sicuri che la paura del contatto fisico, che in questi giorni ci viene comunicata in forme e modi spesso confusi e contraddittori, non lascerà delle tracce profonde nella vita di relazione, al di là dei facili entusiasmi per le tecnologie a distanza ?
Nello stesso comunicato, al quale di certo ne seguiranno altri, con nuove iniziative, il sito UNESCO invita le comunità a condividere esperienze di salvaguardia durante la pandemia e incoraggia queste a condividerle, a scambiarle per poter dare spunto ad altre comunità a fare altrettanto.
Il comunicato UNESCO parte in pratica dal bicchiere mezzo pieno e cioè dalla possibilità di guardare alla pandemia come una occasione per poter sperimentare delle pratiche nuove di salvaguardia del patrimonio immateriale e per guardare ad esso come una risorsa cui attingere, in forme e modi diversi, anche in un'epoca di distanziamento sociale e di paura. Quindi una finalità pedagogica del patrimonio se vogliamo. Una prospettiva nobile, che è inscritta nella mission dell'UNESCO fin dalla su fondazione. Tuttavia -bicchiere mezzo vuoto, anzi completamente vuoto- tutto questo non è sufficiente e cela una dimensione nascosta che è nostro dovere far emergere, sulla quale occorrerà vigilare in futuro.
Le pratiche espressive che vediamo spesso rappresentate da feste e rituali, non solo sono a volte fragili, basandosi proprio sui legami tra le persone (a volte poche persone), sulla loro vicinanza, che è anche fisica, fatta di sguardi, di famiglie coinvolte, di intenti comuni, di serate passate a realizzare un carro votivo, o a preparare insieme un piatto, o fare una questua per finanziare la festa. Ma anche quando possono contare su apparati più istituzionalizzati di finanziamenti o di organizzazione, si sostanziano proprio di azioni volontarie che fondano il senso stesso della partecipazione. Che ne sarà dunque della partecipazione dei cittadini al patrimonio quando questa, anche quando le disposizioni governative saranno ammorbidite, continuerà ad essere vista come un assembramento pericoloso per la salute?
* https://ich.unesco.org/en/news/living-heritage-experiences-in-the-context-of-the-covid-19-pandemic-13261.
The working group of the Simbdea Directorate produced another letter, concerning, this time, the museum sector. The SIMBDEA Letter is addressed to the Ministry of Cultural Heritage.
This collective letter highlights some relevant points:
- The social functions of museums/ecomuseums, especially the “little ones” (i piccoli musei) when they express/support communities and local life, contributing to the active safeguarding of ICH elements/territories, and their values in the “liquid” contemporary society, as “presidio di socialità” (presidia of sociability). In this sense, the letter affirms that “museums never closed, as the opening to the public is only one of their functions”.
- The museum as “contact zone”
- The support of Simbdea to the ANCI (National Association of Italian Municipalities) initiative, “CuraCultura”, aimed to “safeguarding the cultural and social connective fabric represented by local museums, libraries and places of culture, as well as places of live entertainment”, as main actors also of a sustainable tourism economy.
- The importance of museum as place of expression of encounters and comparison, possible conflicts, divergent visions, compromise, narratives and recognition of cultural diversity, acting for the community well-being.
- The museum as actors of social and economic revitalisation of the Italian inner areas (see “strategia nazionale per le aree interne”)
In this perspective, the future Funding allocation of the Cura Cultura initiative, will take into considerations not only the large and well-known classical museums Institutions, but also community-based organisations/projects/centres:
“A significant part of the Fund could be assigned on an experimental basis to existing organisations (associations, social enterprises, community cooperatives, etc.), or to communities of inhabitants, who manage civic-owned cultural spaces or in the continuous availability of Municipalities or privately owned for at least three years, according to award criteria that reward the roots of organisations in the area and their vocation to operate both in the cultural and civic dimension through continuous initiatives. In this way it will be possible to guarantee the possibility of the existence of the structures, the continuity of the work and the provision of their cultural and mediation skills in the involvement of citizens, prerequisites for the restart of the communities and the revitalization of our territories. The selection would therefore not be made on tender projects, but for actions and objectives with a three-year duration and accompanied by a public and transparent monitoring system. A part of the funds to the organizations could also be used for works to adapt the spaces that will be necessary to reopen to the public in phase 3 and for technological adaptation, also through dedicated resources to be expected within the EU 2021-2027 programming cycle of the Structural Funds. "
RIAPRIRE I MUSEI?
A cura del Direttivo di Simbdea
Lettera inviata al Ministro dei Beni, Attività Culturali e Turismo, Dario Franceschini, in data 16 giugno 2020
Musei: la cultura non si ferma
I musei non hanno mai chiuso. I musei sono aperti. Perché l'apertura al pubblico non è l'unica missione che essi svolgono, anche se è la più caratterizzante.
Perché i musei dovrebbero riaprire al pubblico senza nessuna garanzia e tutela da parte delle istituzioni? A quale prezzo riaprireste un museo al pubblico?
Perché i musei dovrebbero riaprire al pubblico facendo pagare un biglietto d’ingresso se il pubblico stenta a sbarcare il lunario? Riaprire i musei al pubblico si può, ma a quale pubblico e in quali condizioni?
Musei come presidi del territorio
Perché i musei sono presidi culturali territoriali, sono presidi di socialità territoriale, sono presidi di legalità territoriale, se non svolgono anche questo ruolo sono astorici. Serve una nuova etica del museo di fronte alle macerie delle disuguaglianze post Covid-19. Non possiamo fare finta di niente, non possiamo fare finta che nulla sia successo, dobbiamo fare una anamnesi delle modalità di produzione, gestione e fruizione del patrimonio culturale, ampliare i confini e includere i conflitti nelle nostre narrazioni museali.
Musei come zone di contatto
Il museo va ripensato come zona di contatto, spazio in cui le situazioni di asimmetria culturale si confrontano, si scontrano e si fondono creando un nuovo oggetto, un nuovo contenitore luogo culturale, capace di includere. Come sostiene Homi Bhabha i «musei sono spazi “inter-medi”» luoghi innovativi in cui sviluppare la collaborazione e dare voce alla contestazione nell’atto stesso in cui si ridefinisce l’idea di società.
Per riaprire i musei serve che essi diventino luoghi attivi per l’azione “politica”. Crediamo cioè che i musei riguardino la vita delle persone e che raccontino le loro storie passate e contribuiscano a costruire quelle di oggi all’interno di uno spazio, di un tempo e di un luogo che si pongono come i tre aspetti importanti nella fruizione museale: lo spazio che deve essere accogliente, aperto, "non affollato", "family friendly", interattivo, ricco di significati, in cui si deve richiedere una reazione attiva da parte dei visitatori al racconto museale e non un'accettazione passiva dei contenuti; il tempo che deve essere adeguato alle necessità di comprensione dell'esperienza da parte del visitatore; e il luogo fisico in cui si trova, il territorio locale o la grande città di cui il museo racconta le innumerevoli storie, il paesaggio e i servizi che completano l'inserimento dell'esperienza di visita in un contesto olistico.
La cultura dopo l’emergenza
In tal senso ci sentiamo di sostenere la proposta dell’ANCI “La cultura nelle città dopo l’emergenza” (15 maggio 2020) e in modo particolare nei punti in cui sottolinea che “le risorse da destinare al Fondo CuraCultura dovranno consentire di salvaguardare il tessuto connettivo culturale e sociale rappresentato dai musei locali, dalle biblioteche e dai luoghi della cultura, nonché dai luoghi dello spettacolo dal vivo. Sarebbe un grave errore vanificare l’impegno profuso negli anni da amministrazioni, operatori del settore, associazioni e da singoli per far vivere e sviluppare questi fondamentali presidi dove si coltiva l’interesse per il patrimonio culturale locale, promuovendone la fruizione e l’accessibilità. I musei e i luoghi della cultura, in molte città d’arte, rappresentano anche mete turistiche molto importanti. Il loro depotenziamento potrebbe indebolire il rilancio dell’offerta turistica delle città. Per queste ragioni sono necessarie risorse per adeguare la fruizione dei luoghi della cultura alle misure di sicurezza previste dall’emergenza sanitaria e, allo stesso tempo, investire risorse sulla formazione del personale (a tutto quello che in vario modo è impegnato nei servizi, a prescindere dal rapporto contrattuale) per garantirne la corretta applicazione. Inoltre, per prestare la dovuta attenzione alle realtà “minori”, si propone di portare a 10 mln di euro il Fondo per il funzionamento dei piccoli musei istituito con la legge di Bilancio 2020 (art. 1, co. 359-36027 dicembre 2019, n. 160). Di vitale importanza è infine assicurare una continuità alle attività svolte da associazioni culturali che collaborano stabilmente con i luoghi della cultura. Basti pensare ai servizi per la didattica, per la fruizione turistica e all’editoria e alla multimedialità.”
Proponendo inoltre che “Una parte significativa del Fondo potrebbe essere assegnato in via sperimentale a organizzazioni esistenti (associazioni, imprese sociali, cooperative di comunità ecc), o a comunità di abitanti, che gestiscono spazi culturali di proprietà civica o nella disponibilità continuativa d’uso dei Comuni o di proprietà privata da almeno tre anni, secondo criteri di assegnazione che premino il radicamento delle organizzazioni sul territorio e la loro vocazione a operare tanto nella dimensione culturale che in quella civica attraverso iniziative continuative. In questo modo si potrà garantire la possibilità di esistenza delle strutture, la continuità del lavoro e la messa a disposizione delle loro professionalità culturali e di mediazione nel coinvolgimento dei cittadini, presupposti per la ripartenza delle comunità e il rilancio dei nostri territori. La selezione quindi non verrebbe fatta su progetti a bando, bensì per azioni e obiettivi con durata triennale e accompagnata da un sistema di monitoraggio pubblico e trasparente. Una parte dei fondi alle organizzazioni potrebbe inoltre essere usata per lavori di adeguamento degli spazi che saranno necessarie per riaprire al pubblico nella fase 3 e per l’adeguamento tecnologico, anche mediante risorse dedicate da prevedersi all’interno del ciclo di programmazione 2021-2027 dei Fondi Strutturali.”
Musei come luoghi di esperienza e benessere, per le nostre comunità
Sosteniamo che si deve ricominciare a fruire e vivere di cultura e, nello specifico, di musei anche come elementi di benessere sociale, per riprendersi dall'isolamento forzato. Il visitatore vuole "essere attivato" a più livelli, durante la visita-esperienza culturale: la messa alla prova della sua attenzione e del suo coinvolgimento attraverso tutti i canali e strumenti allestitivi e narrativi a disposizione sarà la sfida più importante che il museo dovrà superare per rinforzare il suo ruolo e rinnovarlo dopo la riapertura post-Covid19.
Sicuramente investire sui piccoli musei, capillarmente diffusi sul territorio rientra nell’ottica del decentramento e della riscoperta dei piccoli centri di cui tanto si parla in questo periodo, nel contesto della rivitalizzazione delle zone interne: una priorità delle nostre politiche nazionali e una sfida di società.
[1] Per esempio a Taranto: https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/taranto/1212789/coronavirus-taranto-accendere-i-fuochi-di-s-giuseppe-e-da-delinquenti.html. Oppure a Bari: http://www.baritoday.it/cronaca/coronavirus-sporcaccioni-rifiuti-decaro.html. O ancora sulle "vampe" per S. Giuseppe a Palermo: https://palermo.repubblica.it/cronaca/2020/03/18/news/il_virus_non_ferma_le_vampe_sette_falo_spenti_a_palermo-251639837/