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Una bibliografia ha una funzione elementare negli studi: far conoscere lavori scritti. Nel nostro campo i lavori sono spesso molto dispersi e l'utilità delle bibliografie è notevole. La dedico al mio Maestro di studi Alberto Cirese: è l'unico al quale sento il dovere di mostrare di essere stato laborioso, e spero che possa riconoscere nei temi e nei modi del mio lavoro qualcosa del suo insegnamento. Ho insegnato in quattro Università, da ‘esercitatore’ e da ‘borsista’ a Cagliari, da incaricato esterno e poi associato e infine ordinario a Siena, e quindi a Roma e ora a Firenze, e quindi estendo la dedica a tutti i colleghi con i quali è stato stimolante cooperare e agli studenti, la cui attenzione e passione è ragione profonda dell’insegnare e del ricercare e scrivere, anche per insegnare meglio.
Sono nato il 27 giugno del 1942, a Nuoro, dove lavoravano mio padre e mio nonno, a sei mesi e fino a cinque anni ho vissuto nella piccola comunità di Meana Sardo, e da allora a Cagliari.
Dopo il liceo ho studiato Architettura a Milano per due anni, poi sono ritornato a Cagliari dove mi sono laureato in Filosofia con tesi in Antropologia Culturale, il 27.11.1969. Il mio relatore di laurea era Alberto Mario Cirese, Maestro negli studi, e guida in un percorso universitario pur assai indipendente. Tre giorni prima, il 24 novembre 1969 era nata la mia prima figlia, la seconda nacque nel 1971. Mi ero sposato nel 1965.
La mia vicenda di studente si era incontrata con la politica che aveva allungato un po’ i progetti di laurea. Ho insegnato nelle scuole medie e all’Istituto magistrale (ho vinto il ruolo di Storia filosofia psicologia e pedagogia nelle scuole superiori) in Provincia di Cagliari fino al 1973, quando facendo domanda di incarico all’Università di Siena ho cominciato ad insegnare qui, nella Facoltà di Lettere, prima “Letteratura delle Tradizioni Popolari” e poi “Storia delle Tradizioni Popolari”.
La mia tesi di laurea era stata pubblicata da Laterza con il titolo Franz Fanon tra esistenzialismo e rivoluzione, avevo scritto un saggio sulla casa rurale sarda, e la mia domanda fu accolta. Ho rinunciato al ruolo nella scuola secondaria, mi sono trasferito con tutta la famiglia a Siena ed ho fatto didattica e ricerca sul campo sulle tradizioni popolari dal 1973/74 al 1990/91, diventando da 'incaricato esterno', 'stabilizzato', e poi 'associato' e infine 'ordinario'.
Nel mio lavoro di storico delle tradizioni popolari (o folklorista o demologo) ho traversato in lungo e in largo la Toscana stabilendo contatti con il territorio in forte sodalizio con Gastone Venturelli e Roberto Ferretti che dal Nord al Sud, l'uno da universitario l'altro da outsider, esploravano e monitoravano le culture locali toscane, insieme a tanti altri intellettuali e appassionati con i quali ho spesso collaborato. Ho avuto incarichi in comitati scientifici di molti Enti Locali ed ho cercato anche di coordinare il movimento di rivalutazione del territorio che in Toscana ho vissuto per tutti gli anni '70 e oltre.
A parte i temi teorici che sono sempre stati per me appassionanti e che la ricerca sul campo continuamente rinnovava, ho lavorato soprattutto su due temi il ‘teatro popolare’ (nell’area concettuale del rito e della festa) e la museografia della cultura contadina mezzadrile. In verità quest’ultimo è stato il mio tema dominante: riconoscere e dare parola ai mezzadri, ai boscaioli, ai migranti di una vivissima cultura toscana, resa ormai silenziosa dai processi di modernizzazione e da una sorta di autocondanna all’oblio. Ho lavorato in controcorrente rispetto alla antica fierezza delle culture urbane per valorizzare le vite quotidiane, le forme di cerimonialità, il senso dello spazio o del cibo dei contadini. Il mio tema anche di passione civile è stato in effetti ‘la cultura contadina’ in Toscana. L’attenzione per un approccio storico mi ha spinto anche a studiare i cambiamenti e le lotte sociali.
Alla fine degli anni ‘80 ho condiviso un clima di rivisitazione degli studi antropologici che veniva dagli Stati Uniti e che diede vita a un indirizzo che fu detto di Antropologia interpretativa e si connesse con il cosiddetto ‘postmodernismo’. In questo quadro, con un gruppo di lavoro senese, ho fondato la rivista Ossimori, la rivista ha vissuto per 10 numeri (1992-98) ed è stata una esperienza bellissima anche di ricerca di comunicazione con discipline affini e su temi di tutti gli studi umanistici. Abbiamo cercato di contrastare l’ipersettorialismo e di ritrovare una comunicazione intellettuale trasversale. Ma infine abbiamo ceduto alla fatica, alle resistenze dell’editore e all’esaurirsi del ciclo di discussione in antropologia.
Il lavoro all’Università di Roma, dove ho sostituito dal 1991/92 Alberto M. Cirese che andava “fuori ruolo”, ha visto un forte potenziamento delle modalità di gestione della didattica, in particolare con i seminari avanzati, l’organizzazione di corsi diversi per i livelli di studio pre-laurea e infine per il Perfezionamento e il Dottorato. Per 10 anni ho diretto e seguito stages di ricerca-didattica sul campo degli studenti ‘avanzati’. Ho fatto anche esperienze di didattica per adulti nei seminari della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (AR) e ne ho riportato nella didattica universitaria gli insegnamenti con grande utilità. Dell’esperienza romana fanno anche parte organica esperienze di scambio e lavoro tra antropologi sia su temi del confronto teorico che della ricerca e della didattica assolutamente irripetibili altrove, ma che spero mi forniscano una rete di riferimento per dialoghi da continuare anche da un’altra e non lontana sede universitaria.
Sul piano professionale sono stato coordinatore della Sezione di Antropologia Museale dell’Associazione Italiana di studi Etno Antropologici e sono oggi Presidente di “Antropologia Museale. Società per i musei e i beni culturali demo-etno-antropologici”
Il mio interesse per le culture locali ha attualmente due poli di attenzione speciale: il primo riguarda l’Archivio Nazionale Diaristico di Pieve Santo Stefano in Provincia di Arezzo e il secondo lo straordinario ‘museo spontaneo’ di Ettore Guatelli ad Ozzano Taro gestito da una Fondazione dopo la sua morte. Il mio lavoro su temi di storia del territorio ha poi fatto sì ch’io facessi parte della Commissione di Studio sulle stragi naziste in Toscana creata dal Consiglio regionale.
Negli ultimi anni del lavoro didattico e di ricerca a Roma ho cominciato a dirigere tesi e riflettere sui temi della immigrazione e, per questa via, sull’antropologia urbana e l’interculturalità. Sono però anche ritornato ad alcuni temi che avevo aperto da studioso di tradizioni popolari, in particolare la scrittura popolare e la ricerca con il metodo delle storie di vita, inoltre il tema della memoria storica e del tempo storico. Sui temi dell’intercultura sono tornato quindi per l’interesse della Facoltà di Lettere di Firenze. Il mio profilo è oggi di ‘antropologo dell’Italia’(formatosi soprattutto sulla Toscana) che è, come dire, di un ‘folklorista’ che ha allargato le sue attenzioni alla modernità e ai contesti ed arricchito la sua esperienza metodologica con dibattiti e resoconti dell’antropologia extraeuropea e del mondo globale.