Una giusta apologia contadina - di Pietro Clemente

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Inaugurato il 17 gennaio, giorno di sant’Antonio Abate, a Buonconvento (in provincia di Siena) l’Anno del mezzadre ragioni di una memoria che non può andare perduta con l’inevitabile urbanizzazione di tanti agricoltori nel Novecento

Una giusta apologia contadina
di Pietro Clemente

 Al mattino eravamo nel museo, in tanti, tra una gigantografia di famiglia contadina e la ricostruzione di una casa colonica. Al pomeriggio eravamo nella cappella della compagnia della Misericordia, ancora di più. Davanti alla chiesa dove sul tardi sono stati benedetti alcuni animali. A Buonconvento, in provincia di Siena, sulla antica Cassia che fu anche francigena. L’Anno dei mezzadri è stato inaugurato il 17 gennaio, con una dedica a sant’Antonio, il santo delle stalle, degli animali, e anche il santo del cibo, sia per il porcellino accompagnatore, sia per il nome che si dava alla carne che improvvisamente arrivava in una dieta contadina soprattutto vegetale quando per qualche incidente o malattia un animale da lavoro, o da mercato (bovini) doveva essere abbattuto e diventava commestibile: era un “sant’antonio”.  

 

 

C’erano studenti, direttori di musei di varie sedi italiane, anche gli specializzandi della Scuola in beni demo-etnoantropologici. I rappresentanti delle associazioni dei contadini, gente comune, consiglieri comunali, provinciali, rappresentanti della regione. L’idea di un Anno dei mezzadri, ovvero un anno di iniziative culturali dedicato alle «Radici contadine della Toscana» guardate in una chiave di presente e di futuro, fu accolta e rilanciata dal Consiglio regionale della Toscana, su proposta di due associazioni (Iniziative demo-antropologiche e storiche-orali toscane, Idast, e Società italiana per la museografia e i beni demo-etnoantropologici, Simbdea,) e del Museo della mezzadria di Buonconvento, a nome dei diversi musei del mondo contadino che ci sono in Toscana. Il progetto era ed è di estendere l’iniziativa alle regioni contadine mezzadrili come l’Emilia, le Marche, parte del Veneto, l’Umbria, l’Alto Lazio. Un anno di studi e di iniziative culturali legate anche alla «Terra Futura», che è il nome di una iniziativa della regione Toscana in programma a maggio.

L’Anno dei mezzadri è un anno plurale, chi vorrà potrà far parte del suo calendario. In linea generale abbiamo pensato a una prima fase dedicata al cibo, una seconda dedicata ai saperi, una terza dedicata alla storia e alle storie della vita. Ma perché Buonconvento è il punto di partenza? Facciamo un passo indietro. Perdere la memoria Museo della mezzadria senese del Novecento: Buonconvento, provincia di Siena, qui secoli e secoli fa morì Arrigo VII imperatore, e qualcuno provò a chiamarla «malconvento». Siamo a pochi chilometri dall’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore, tra la Vald’Arbia e le Crete senesi a cui Mario Luzi ha dedicato poesie toccanti.

Qui negli anni Quaranta del Novecento i contadini mezzadri, da secoli impegnati nel lavoro della terra, senza proprietà di mezzi né di casa, dotati solo della forza delle braccia familiari, della coesione e del comando degli anziani, della capacità di lavorare da sole a sole e oltre, conobbero i partigiani che stavano nelle montagne vicine e li aiutarono: i ragazzi fecero talora le staffette, le massaie il pane, gli uomini spesso parlarono di un futuro più giusto e della fi ne del fascismo. Alla fi ne della guerra furono attivi in lotte sociali straordinarie, epiche, contro gli sfratti arbitrari, per un nuovo patto agrario, visto che dei prodotti del loro lavoro dovevano dare la metà ai padroni. Le loro erano lotte diffi cili, non potevano lasciare la terra o gli animali, spesso lottarono le donne, spesso facevano turni, ai sindacalisti qualcuno dava il cambio quando erano impegnati.

Per conquistare l’attenzione dei cittadini che da secoli li guardavano con invidia e disprezzo, portarono le uova agli ospedali anziché come regalie ai padroni grandi proprietari anche locali, ma spesso lontani, o a professionisti senesi;fecero i mercatini di vendita diretta. A Siena quando manifestavano la gente invidiosa diceva:«Ma che vogliono,ci hanno il prosciutto in casa». Ma i mezzadri vedevano poco il denaro, guardavano con desiderio le case moderne col bagno, le donne non volevano più sposarsi con contadini e quando le lotte sociali non ottennero l’obiettivo di una divisione del reddito decisamente più vicina all’affitto,che consentisse ai mezzadri di trasformare il podere in impresa agricola, abbandonarono la terra dove i loro antenati da generazioni avevano vissuto e plasmato lo spazio agrario di cui si è nutrita la pittura toscana da Lorenzetti, a Giotto, a Fattori, e che stupisce ancora i turisti per quel che ne è restato. Si buttarono a capofitto a gustare la modernità urbana che fino ad allora li aveva esclusi, si trasformarono in commercianti, in artigiani,in portantini d’ospedale,in custodi di scuole, talora in imprenditori di aziende familiari e la terra che avevano plasmato per secoli restò muta.

E muta restò la loro memoria,essi condannarono senza incertezze la mezzadria come un mondo di sfruttamento che non aveva consentito l’espressione dell’imprenditorialità contadina, né quella dell’azienda agricola moderna. I mezzadri erano restati segregati dalla modernità, la loro discesa in campo nella storia trasformò la Toscana in una “regione rossa”, ma essi dimenticarono se stessi come soggetti sociali,cancellarono dalla memoria il passato e insieme la vergogna con la quale città e classi alte li avevano stigmatizzati, tra satira del villano, e offese di monelli e di giovanotti quando venivano in città. Negli anni Ottanta del Novecento storici, antropologi,economisti, agrari dieder vita a studi e ricerche su quel mondo che era appena finito,come un esodo biblico; siciliani,marchigiani, sardi, agricoltori e pastori cominciavano ad affittare le terre abbandonate,in alcune case coloniche deserte nasceva il fenomeno del riuso turistico che avrebbe trasformato il Chianti del barone Ricasoli in «Chiantishire».

Qua e là ex contadini, o anche cittadini consapevoli della grande mutazione raccolsero oggetti di memoria, fecero mostre, piccoli musei quasi spontanei. Nella memoria la catastrofe era compiuta, negando le loro radici i mezzadri erano diventati moderni, individui, consumatori. Solo il grande cinema con«Novecento» di Bernardo Bertolucci,«L’albero degli zoccoli»di Olmi (un contratto agrario diverso e più pesante di quello mezzadrile, ma un rapporto simile), «Berlinguer ti voglio bene» di Giuseppe Bertolucci tematizzarono l’epica dolorosa o la solitudine storica dei contadini e il passaggio alla campagna urbanizzata. L’anno che verrà Nella Buonconvento delle lotte contadine ormai spente un geometra e un maestro elementare raccolsero gli oggetti del ciclo della canapa, un aspetto complesso e ricco di artigianalità del mondo rurale.

In una mostra del1979 «Il mestiere del contadino», che ricordava il complesso mondo delle famiglie coloniche,i saperi della terra, le tecnologie contadine, una ex mezzadra sedeva al telaio a scandire ancora il tempo misurato dal lavoro delle donne. Le donne erano state infatti il vero segreto della mezzadria,svalutate dai tecnici agrari(il loro lavoro valeva la metà di quello maschile) sapevano fare tutto e più degli uomini, e lo si vide quando questi andarono in guerra. Ma il loro disamore per quel mondo sacrificato aveva reso l’esodo una sorta di fuga. Finché a Buonconvento una giovane leva di ricercatori universitari di Antropologia culturale,allievi di Alberto Mario Cinese,incontrò il piccolo museo e di qui nacque il progetto di ricostruire la memoria contadina,la conoscenza dei loro saperi,attraverso un grande museo istituzionale,mentre anche altrove,nel Mugello,nel Val d’Arno,in Lunigiana,dappertutto,nascevano esperienze analoghe, e“fecero rete”.

La memoria contadina fu in tal modo“ereditata”dai musei ed alle università. Così fu negli altri mondi dove contadino significava mezzadro: in Emilia, in Umbria, nelle Marche, nell’alto Lazio, in parte del Veneto,nelle terre di bonifica dove la mezzadria era nata durante il fascismo. In quegli anni di grandi mostre si parlò molto dei Medici,degli Etruschi, di grandi pittori, di scultori, e poi dei Celti, e magari degli Zar, e infine di Galileo. In Toscana ci fu l’anno dei Medici, l’anno degli Etruschi. E noi sognammo l’anno dei mezzadri. Era un anno mitico,di antianniversario,un anno come quello di Lucio Dalla nella canzone «L’anno che verrà», in cui«sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno», un anno utopico, perché ricorderà dei contadini che non vogliono ricordare, delle radici contadine della Toscana che tutti fingono di non conoscere.

«Ci sarà da mangiare e luce tutto l’anno, /anche i muti potranno parlare / mentre i sordi già lo fanno. / Vedi caro amico cosa si deve inventare / per poterci ridere sopra,/ per continuare a sperare».( L u c i o D a l l a ,«L’anno che verrà»).

L’anno è venuto Ora quell’anno è venuto e il giorno di sant’Antonio è cominciato. Sant’Antonio protettore delle stalle, degli animali,immagine che traversava tutta l’Europa contadina cattolica,ci è stato a fianco nel decollo. Con il suo porcellino di cui si è ragionato in un convegno, sia in termini storici che in termini gastronomici. A Siena oggi c’è un prodotto locale di eccellenza che è «la cinta», e anche «il grigio», un maiale di tutto rispetto,una specie di Lord visto che nasce dall’incrocio della “cinta”, maialino da pascolo brado presente nella scena rurale che domina il Buon governo di Ambrogio Lorenzetti,con il verro Large White inglese.

Si è parlato del maiale e del cibo contadino. Perché,dopo trent’anni dalla nascita di studi e musei, ciò che ci ha spinti a proporre come possibile l’anno utopico dei mezzadri, e che ha convinto il Consiglio regionale della Toscana a far propria l’idea di riflettere sulle radici contadine della Toscana, non è la nostalgia, ma sono i problemi del mondo globale,i nuovi problemi dell’agricoltura,della qualità, della sostenibilità,della tipicità. I mezzadri in modo un po’ paradossale ci sono maestri di una parsimonia,di un’arte del riciclo, di un ingegno manuale molteplice,di una sostenibilità radicale, di un consumo alimentare strettamente locale (filiera corta) e legato al ciclo dell’anno, che furono per loro legge necessaria di adattamento, ma che oggi nella nuova storia che abbiamo costruito, sono possibili scelte di futuro.

Guardare alla memoria contadina negata per costruire un futuro possibile, per trasmettere il passato ai giovani, per riconoscere alla Terra la sua forza negata di Madre. Come nel film-progetto di Ermanno Olmi, «Terra Madre»,che è per tutti, ne condividano o no il messaggio radicale, un orizzonte di riferimento per pensare la terra, quella che i mezzadri amarono e poi maledirono. Quella che i mezzadri e i loro figli inurbati fanno ancora produrre quasi di nascosto nelle migliaia di piccoli orti urbani talora in terreno comunale, che forniscono pomodori, zucchine,cavolo nero e sono l’unico legame con la terra che è rimasto,mentre una sola mietitrebbia fa da sola il lavoro di cento uomini,e non ha bisogno dei grandi pranzi di trebbiatura.

L’Anno dei mezzadri è cominciato a Buonconvento, perché c’è la storia delle lotte, e c’è il museo, e perché lì c’è stato il dialogo tra il Comune, la gente,l’Università. Ma continuerà in varie sedi della Toscana. In una prima fase sarà soprattutto l’alimentazione la chiave di lettura del rapporto tra passato e futuro. Sono coinvolti anche agronomi, agriturismi, associazioni dei contadini, istituti alberghieri,gastronomi. E il maiale che accompagna sant’Antonio a marzo avrà una scena tutta sua,in un delicato dialogo tra la sua natura di essere vivente che sta francescanamente nel consorzio del Creato, e il cibo. La ricerca antropologica ha spesso segnalatola forte carica simbolica del maiale, sia come confine tra le religioni del Libro, sia come confine tra l’Europa del crudo e del cotto (bacon), ma di recente si è anche insistito sulle stragi di animali che vengono fatte nelle feste comandate, tacchini, maiali,montoni -cibo rituale- trasformano le grandi scadenze religiose o civili (il Thanksgiving day )in stragi, in bagni di sangue, di animali che sono messi al mondo non come esseri viventi, ma come esseri morenti, cibi spesso imprigionati a centinaia dalla produzione industriale in gabbia.

Le contadine mezzadre raccontava nodi quando portavano al pascolo nel bosco i loro pochi maiali dopo essere state a scuola,dell’amicizia e della crescita insieme con loro. E del dolore e insieme desiderio della loro morte e trasformazione in cibo prezioso. Un senso sacro della morte che si è perso, per cui in alcune popolazioni si davano da uccidere i maiali divenuti animali domestici a popolazioni vicine,per non dover sacrificare di persona i propri «pet».Poi si rifletterà sui saperi e le arti. Poi sulla storia e sulle storie, per finire fra tre anni in un incontro nazionale dei mondi contadini e della memoria contadina per santa Lucia, il 13 dicembre

 

Simbdea, società italiana per la museografia e i beni demoetnoantropologici.

c/o Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino
Piazzetta Antonio Pasqualino 5 - 90133 Palermo

CF: 03251180406
e-mail: segreteria@simbdea.it

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