Identificare gli oggetti, conservati all’interno dei musei etnografici, quali beni culturali a tutti gli effetti, significa da una parte poter accedere a finanziamenti pubblici, per esempio per quanto riguarda la catalogazione, dall’altra rispettare il valore documentale che questi detengono in quanto testimonianza materiale di epoche, eventi, umanità riconosciuti degni di interesse. Capita invece molto spesso di registrare una più o meno evidente disinvoltura nel custodire e perpetuare l’integrità fisica dei beni in questione. Succede che vengano realizzati degli interventi di varia natura le cui conseguenze non sono sempre valutate a pieno.
Puliture eccessivamente energiche possono eliminare la patina lasciata
dal tempo e magari anche gli odori caratteristici, cancellando le
tracce dell’uso che di quell’oggetto veniva fatto: per esempio
l’azzurro del solfato di rame di un soffietto da irrorazioni per viti o
l’alone biancastro caratteristico degli stampi in legno per il
formaggio e il burro. Sono dettagli, anche minimi in alcuni casi, ma
nel contempo preziosi per riannodare i sottili fili del tempo, scopo
ultimo di un museo dedicato alla cultura materiale.
Allo stesso modo, risultano dannosi gli interventi destinati a
svecchiare l’aspetto degli oggetti, generalmente per renderli
esteticamente più accattivanti. Tra questi per esempio il rinnovare la
tinta del legno con del “mordente”, ripassare le vernici colorate lì
dove appaiono scrostate o sbiadite, o lucidare le parti in cuoio. Il
risultato complessivo finisce per raccontare maggiormente i gusti e
l’immaginario estetico degli allestitori, piuttosto che riportare
efficacemente e con rigore delle informazioni su quel passato da far
conoscere.
Ancora più complessa appare inoltre la questione del ripristino degli
oggetti. C’è in alcuni casi l’esigenza di ricostruire o assemblare
parti mancanti al fine di rendere comprensibile la funzione di quel
tale manufatto. Sembra allo stesso modo legittimo richiedere anche in
queste situazioni un’attenzione imprescindibile per l’integrità del
bene così come è pervenuto all’epoca contemporanea, riconoscendone il
valore documentale. È possibile attuare delle soluzioni alternative
all’azione diretta sul bene, facendo ricorso a delle copie ricostruite,
magari da mettere a disposizione per esperienze pratiche d’uso, oppure
riprodurre graficamente la presunta struttura integra originaria.
Si tratta comunque sempre di cercare di ridurre al minimo quelle
integrazioni che snaturano l’oggetto, con la sovrapposizione di
dettagli fuorvianti, in particolare per chi non ha avuto esperienza del
mondo materiale di cui quel bene è una testimonianza diretta.