In ambito etnografico sembrano permanere aree di terra franca, spazi operativi, strategici e inevitabilmente anche teorici, liberi da ogni regola o riferimenti codificati. Uno di questi è sicuramente il settore relativo alla conservazione e al restauro dei beni.
Ad un livello diverso, più ampio, sono importanti anche i contributi che stanno provenendo a questo proposito dalle altre aree del mondo. Si tratta di sollecitazioni utili a prendere coscienza della relatività di soluzioni proprie della cultura occidentale. Per esempio il Documento di Nara sull’autenticità, stilato in Giappone nel 1994, dall’UNESCO, ICCROM e ICOMOS, riconosce la non universalità della nozione di autenticità. Ci sono contesti culturali nei quali la conservazione di un bene può prescindere dalla tutela della sua integrità fisica originaria. La tradizione scintoista giapponese della ricostruzione periodica dei templi, riconosce valore non tanto alla persistenza dei materiali e della struttura, quanto alla conservazione dei saperi e delle tecniche che consentono la ricostruzione degli edifici di culto ad ogni generazione. In maniera similare, per le culture africane ciò che vale e deve essere custodito non è innanzitutto il prodotto del lavoro creativo, il quale può variare nel tempo e venire sostituito senza rimpianti, bensì la fase di realizzazione in quanto tale, con tutte le implicazioni dei significati e degli attori sociali coinvolti.
Cosa conservare e con quali modalità? Queste sono domande che il settore dei beni culturali convenzionali si è fatto e continua a porsi in maniera sostanziale, cercando di darsi dei parametri di riferimento a guida delle scelte operative. Cosa succede invece per i beni di interesse etnografico, entrati a far parte solo recentemente del patrimonio culturale tutelato dallo Stato e dai suoi organi periferici. In effetti è solo dal 1998 che le Soprintendenze hanno inserito nelle proprie competenze anche la categoria dei beni DEA (demoetnoantropologici), pur non potendo contare, tra l’altro, su specialisti competenti per il settore.
Per quanto riguarda i materiali di interesse etnografico pare vigere una totale anarchia. Presso le collezioni e i musei che raccolgono questo tipo di beni gli interventi di restauro vengono realizzati in totale autonomia. Tale libertà decisionale e di azione, se da un lato risulta assai comoda e strategica, allo stesso tempo rivela a pieno la fragilità di questa categoria di beni, che dimostra così di non aver trovato ancora una reale dignità e ufficialità in materia di tutela.