L’inserimento nel campo della tutela dei beni DEA e di cultura materiale ha costretto ad una parziale revisione delle posizioni del restauro critico, che fondava la sua teoria sull'artisticità del bene oggetto del restauro. Le nuove tipologie di patrimoni portano naturalmente a privilegiare l’attenzione per la conservazione materiale oltre che formale degli oggetti tutelati, a prescindere dal valore artistico di questi. All’origine della totale autonomia di cui sembra godere l’ambito etnografico rispetto alla questione della conservazione si può rintracciare però forse proprio la sua iniziale esclusione dal ricco dibattito teorico sul restauro.
Cesare Brandi rappresenta una pietra miliare per la disciplina della
conservazione. Con i suoi scritti, e in particolare Teoria del Restauro
edito nel 1963, e come fondatore e direttore dell’Istituto Centrale del
Restauro (1939-1959), ha posto le basi teoriche dei principi che
guidano in Italia, e non solo, il restauro delle opere d’arte e dei
monumenti (Teoria del restauro, già molto noto all’estero, è stato di
recente edito in lingua inglese)
Brandi distingue chiaramente tra “un restauro relativo a manufatti
industriali e un restauro relativo alle opere d’arte (…) il primo
finirà per porsi come sinonimo di risarcimento o di restituzione in
pristino” (Brandi 1977: 3). Esiste, evidentemente, una differenza
sostanziale che rende unica l’opera d’arte in quanto tale, ma questa
distinzione così netta di tipologie di restauro, penalizza
inevitabilmente i manufatti non artistici, la cui questione viene
risolta velocemente, senza approfondimenti. Per i prodotti
industriali, comprendendo nella categoria le opere degli artigiani, lo
scopo del restauro dunque è solo ristabilire la funzionalità
dell’oggetto, conseguentemente, non sono ritenute necessarie ulteriori
precisazioni.
In realtà l’azione del restauro richiede sempre un livello di
consapevolezza teorica. Il senso generale delle riflessioni portate
avanti in ambito storico-artistico è applicabile a tutte le tipologie
di beni culturali.
Per Brandi “il restauro costituisce il momento metodologico del
riconoscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza fisica e nella
sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua
trasmissione al futuro” (Brandi 1977: 6). Compito del restauro è
trovare un equilibrio in grado di tutelare entrambe queste istanze,
senza cancellare le traccia del passaggio dell’opera d’arte nel tempo.
Possiamo chiederci allora se il modo di definire l’opera d’arte, nella
sua matericità e nella doppia dimensione estetica e storica (in
quanto prodotto dell’attività umana realizzato in un certo tempo e in
un certo luogo), possa essere esteso utilmente ad ogni categoria di
manufatti, senza diversificazioni interpretabili innanzitutto quale
retaggio dell’idealismo crociano. In effetti quando Brandi scrive non
era ancora in uso il concetto di “bene culturale”, introdotto nel 1967
dalla Commissione Franceschini, a cui si deve un ampliamento
sostanziale dell’idea di patrimonio, precedentemente limitata entro i
confini del valore artistico e del significato storico (nel senso
esclusivo della “grande storia”). Né l' attenzione per i beni materiali
della cultura popolare, e la conseguente proliferazione di musei
etnografici, erano ancora tali da richiedere urgentemente una
riflessione sul loro status e quindi sulle relative politiche di tutela
e conservazione.
Alla luce delle nuove prospettive di studio, che hanno dato dignità
scientifica a vasti campi della produzione umana, si può riconoscere a
ragione che gli attrezzi da lavoro, gli arredi domestici, il vestiario,
l’oggettistica varia di uso quotidiano o celebrativo, definiti beni di
interesse etnografico, sono anch’essi identificabili nella loro
componente fisica contraddistinta da un livello estetico o quanto meno
di immagine ed uno storico, entrambi significativi e degni di
rispetto. Anche per questa tipologia di beni sembra in effetti
legittimo porre attenzione alla tutela dell’aspetto originario, assieme
alle tracce materiali del loro passaggio attraverso la storia. Pensare
a loro in termini solo di ripristino della funzionalità annulla il
significato più articolato di bene culturale e cioè testimonianza
avente valore di civiltà, il cui interesse documentale è garantito
anche dalle peculiarità della componente formale originaria, la quale
dunque deve essere tenuta in considerazione.